Top 10 videogiochi rétro by Namco (seconda parte)

Continuiamo la nostra classifica dedicata ai videogame sviluppati da Namco, analizzando le prime cinque posizioni dove troviamo grandi successi che rivoluzionarono letteralmente il mercato videoludico.

Indimenticabili videogiochi NAMCO

5. Dig Dug [1982]

Dig Dug

Il rapporto fra Namco e Atari non è mai stato dei più rosei, soprattutto a causa di conversioni piuttosto mediocri e fraintendimenti di ogni genere su copyright e marchi registrati. Nintendo prese la palla al balzo, proponendo all’azienda nativa di Yokohama un’anteprima della loro prima home console a cartucce, il celeberrimo Famicom. Il porting del divertentissimo puzzle game arrivò solamente nel 1985, ma si trattava di una versione perfetta soprattutto sul versante della giocabilità.

4. Splatterhouse [1990]

Splatterhouse

Nella prima parte della classifica abbiamo già parlato della partnership commerciale con NEC che in questo caso riuscì ad aggiudicarsi uno dei beat ‘em up più importanti della storia, sempre come esclusiva per il mercato casalingo. Violentissimo, soprattutto per gli standard di inizio decennio, e forte di una storia completamente folle, Splatterhouse esplorava territori gore che non erano mai stati toccati prima, trasportando di peso nelle atmosfere grottesche dei film splatter. Un vero e proprio pugno nello stomaco per Nintendo e per la sua politica ‘kid friendly’ di allora. Cos’altro serve dire sul versante gameplay? Difficilmente troverete un titolo così morbosamente entusiasmante.

3. Battle City [1985]

Carri armati Battle City

Si potrebbero spendere centinaia di parole su Battle City, sul suo divertentissimo comparto multiplayer, sulle sue impennate di difficoltà e sul rivoluzionario editor dei livelli, ma preferiamo rimandarvi alla nostra recensione dedicata all’ultima versione social proposta da Namco.

2. Pole Position [1982]

Pole Position

In seconda posizione troviamo Pole Position, apparso da poco anche nella nostra classifica dei migliori rétro racing game. È difficile esprimere a parole il fenomeno globale causato dall’uscita sul mercato del titolo sviluppato da Toru Iwatani nel pieno della “golden age of gaming”, ma possiamo provarci mostrandovi dei semplici numeri: 21.000 cabinati venduti in Nord America per una spesa complessiva di 61 milioni di dollari, a fronte di un guadagno medio di oltre 500 dollari alla settimana per ogni macchina. Il gioco ancora oggi viene ritenuto come il primo vero esponente dei racing game e fu fonte di ispirazione per numerosi imitatori e addirittura per un cartone animato omonimo. Pole Position introdusse i checkpoint, i giri di qualifica e persino alcuni tracciati ispirati alle controparti reali, oltre a una velocità mai vista prima.

1. Pac-Man [1980]

pacman

Qual è la prima immagine che vi viene in mente pensando alla parola “videogioco”? Per moltissime persone la risposta sarà sicuramente una sagoma gialla impossibile da dimenticare. Pac-Man è il simbolo stesso dell’arte videoludica ed elencare le sue novità sarebbe riduttivo rispetto al reale impatto che ebbe nella memoria collettiva. Senza la simpatica ‘pizza a cui manca una fetta’ (la reale fonte di ispirazione di Iwatani) probabilmente non esisterebbero i concetti attuali di ‘intelligenza artificiale’ e ’perfect score’, mentre molti altri (‘bug’ ad esempio) sarebbero rimasti solamente nell’ambito della programmazione senza essere sdoganati al grande pubblico. Forse non esisterebbe nemmeno un’industria videoludica in senso stretto, soprattutto con le somme di denaro a sei cifre che girano al giorno d’oggi. Pac-Man è stato soggetto di numerosi film e documentari, interi album musicali e addirittura saggi di notevole caratura letteraria, mentre per spiegarne il fascino ipnotico e allo stesso la sua disarmante semplicità dovremo scendere in ambiti psicologici non consoni per queste pagine. Per apprezzarlo però non servono molte parole, basta provarlo e immergersi completamente nella sua atmosfera psichedelica di inizio anni ’80.

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