C’era una volta… no, questa non è una delle solite fiabe ambientate nel mondo dei videogiochi. A dire il vero oggi ci saranno molti più dati e numeri rispetto al solito, nonostante questo sito non abbia come tema principale l’algebra.
Le informazioni che andremo ad analizzare saranno necessarie per sfatare un mito e ci permetteranno di “fare i conti” (nel senso letterale dell’espressione) con il business dei videogiochi.
L’economia delle edicole
“Eh i videogiochi un tempo costavano meno, ora le software house ci marciano fin troppo sopra”. Quante volte avrete sentito questa frase parlando con gli amici, magari dopo un malinconico discorso sulla propria console preferita chiusa in un cassetto a prendere la polvere. Beh, ci dispiace deludere i romantici ma non è proprio così. Una cartuccia del NES acquistata in un periodo qualsiasi, lontano dalle feste, costava fra i 30$ e i 45$, a cui però va aggiunta una percentuale di inflazione. Facendoci aiutare dal sito The Inflation Counter la somma a cui si arriva è ben più alta di quanto possiate aspettarvi, addirittura 90$. Oggi un titolo appena uscito per console next gen si aggira sui 60 €, però nonostante i numeri non possano mentire ci sembra ancora che fino a qualche decennio fa videogiocare fosse meno costoso.
Questa illusione è dovuta a vari fattori, come la cosiddetta “economia da edicola” del tempo. Prima di Gamestop e Mediaworld, i giochi del momento si acquistavano in edicola a prezzi stracciati. Non solo, spesso con un solo acquisto ci si portava a casa una miriade di titoli un po’ simili fra loro e se si era fortunati fra questi se ne trovavano almeno due-tre validi. Inoltre era molto più diffusa la cultura del noleggio, grazie alla quale si poteva provare ogni settimana qualcosa di nuovo senza spendere cifre esorbitanti. Ultimo fattore sicuramente da tenere in considerazione è che in passato la pirateria era molto meno diffusa; non crediate quindi che oggi tutte le software house navighino nell’oro, basta vedere, ad esempio, le sconfortanti notizie che giungono da un mostro dell’industria come Crytek.
La mutilazione del “free to play”
Internet ha portato grandi aiuti al mondo dei videogiochi (maggiore diffusione, facilità nel distribuire), ma allo stesso tempo ne sta modificando radicalmente il sistema. Così come (secondo molti) Spotify sta uccidendo l’industria musicale, la formula “free-to-play” sta pian piano corrompendo quella videoludica. La strategia di certi prodotti della categoria è semplice, ma allo stesso tempo geniale: consegnare nelle mani di un’utenza non sempre esperta in materia (i cosiddetti ‘casual gamers’) prodotti spesso incompleti e dalla dubbia qualità, ma vincenti e di gran popolarità grazie alla loro natura “gratuita”. Le virgolette nella frase precedente sono d’obbligo visto che dietro alla spudoratezza dell’etichetta GRATIS si nasconde un mondo infinito di microtransazioni, che una volta acquistate ci permetteranno di essere superiori alla media dei giocatori o, nei casi peggiori, alla loro pari.
Senza accorgercene stiamo pagando il gioco un poco alla volta, per certi versi “a rate”. Quello che inizialmente sembrava un fenomeno isolato in ambito mobile e social network ha fatto però girare la testa a non pochi pesci grossi dell’economia virtuale, e quelli che un tempo erano mercati secondari sono diventati l’ispirazione per il mondo a tripla A. Una prova di tutto ciò? Killer Instinct, fresco reboot della serie Rareware uscito come titolo di lancio per la nuovissima Xbox One; un ottimo fighting game, competitivo al punto giusto e dannatamente divertente ma che si è attirato non poche critiche per una sua caratteristica: essere, essenzialmente, un free-to-play. Ed effettivamente non si può dare torto ai detrattori di questa mossa azzardata di Microsoft: perchè avere fra le mani un gioco che al lancio ha solo metà dei personaggi? Perchè devo attendere altro tempo per usare il mio personaggio preferito? Perchè devo pagare qualcosa in più per usare un determinato combattente? Il tutto con evidenti lacune, soprattutto nel lato single player ormai praticamente dimenticato da chiunque. Ma quella è un’altra storia… 😉
Editoriale a cura di Marco Cella, appassionato di videogames e articolista di browser-game.it.